Dopo i dubbi di costituzionalità sollevati dalla Corte Europea sulla legge 40 del 2004 (ne parliamo qui), l’Italia è in attesa del giudizio della Consulta previsto per il prossimo 8 aprile. Quale verdetto si attende dai giudici? Quali gli interventi risolutivi da apportare alla Legge?
Per rispondere a queste domande, Vox ha intervistato Alessandra Vucetich, medico ginecologo e membro del direttivo di PRO-FERT, Società italiana di Conservazione della fertilità, e di CECOS ITALIA, associazione italiana per la lotta alla sterilità.
La legge 40 sulla procreazione assistita torna davanti alla Corte Costituzionale (dopo che il tribunale di Roma ha sollevato la questione di costituzionalità sul divieto per le coppie fertili di accedere alla procreazione assistita e alla diagnosi preimpianto, anche se portatrici di malattie trasmissibili geneticamente , ndr). Quale verdetto attende dai giudici della Corte?
Pochissimi giorni fa è caduto il divieto di procedere alla diagnosi preimpianto per le coppie fertili portatrici di malattie genetiche. E’ ormai incontrovertibile che anche questa parte della legge 40 si è dimostrata completamente antistorica.
E’ infatti inaccettabile da ogni punto di vista considerare, per queste coppie di futuri genitori, l’opportunità di accedere alla diagnosi prenatale, a gravidanza quindi insorta, per poi ricorrere al dettato della legge 194/78 per interrompere la gravidanza stessa in caso di malattia del concepito invece di accedere alla selezione embrionaria “prima” che si instauri la gravidanza.
La diagnosi preimpianto permette, unicamente in laboratori di comprovata esperienza in merito, di selezionare gli embrioni non malati, di trasferire quindi nell’utero della donna embrioni sani o soltanto portatori di malattia. Va sottolineato il fatto che, fino a che la legge 40 rimarrà in vigore, gli embrioni malati non potranno essere eliminati ma dovranno comunque essere crioconservati.
Il suo operato di medico ginecologo si è scontrato con i limiti imposti dalla legge? Ricorda qualche episodio particolarmente significativo?
Il mio operato di specialista in infertilità di coppia e quindi anche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) si scontra quotidianamente con i limiti imposti dalla legge 40. Certamente la situazione attuale è meno difficile di quanto accadeva prima della sentenza 151/2009 della Corte Costituzionale.
Gli episodi significativi che ricordo sono veramente tanti: dalla fuga delle coppie all’estero negli anni 2004-2009, con grandi difficoltà di comprensione delle procedure mediche una volta giunti nei centri di PMA stranieri (per non parlare dell’aspetto dei costi economici e della discriminazione tra cittadini in grado di permettersi questa scelta e cittadini NON in grado di operare questa scelta), all’esilio riproduttivo, tuttora in vigore, per le coppie che possono optare unicamente per la fecondazione eterologa.
Al momento attuale vedo due tipologie di pazienti in condizioni particolarmente critiche:
-giovani donne in menopausa precoce (per esempio a causa di trattamenti antitumorali) o giovani uomini azoospermici, cioè completamente privi di spermatozoi, che non possono essere accompagnati nel percorso di procreazione assistita presso i loro medici e quindi spesso si trovano a scegliere da soli un Centro di PMA all’ estero, in completo stato di abbandono da parte delle istituzioni, tutto ciò per una procedura medica, riguardante la salute dei loro figli, quindi della loro famiglia, quindi della società tutta.
-coppie che necessitano di diagnosi preimpianto ma non trovano in nessuna parte d’Italia Centri pubblici in grado di fornire assistenza in merito.
Quali soluzioni individua alle limitazioni imposte dalla legge?
La legge va certamente abrogata e poi rimodulata da cima a fondo. Devono essere disciplinati gli aspetti procedurali per quanto riguarda la tutela della salute e la salvaguardia della sicurezza del cittadino fruitore della PMA. La parte di divieti deve essere minima, addirittura nulla, in quanto, a mio avviso, è responsabilità degli Ordini dei Medici esprimere il giudizio in merito a ciò che si può o si deve fare. Esistono in Italia, come all’estero, varie associazioni di specialisti che si sono, da molto prima dell’avvento della legge 40, date un codice di regolamentazione delle procedure di PMA, sia omologa che eterologa. Il concetto di “far west riproduttivo” così caro ad alcuni organi d’informazione di parte, non si è mai verificato in Italia, se non in pochissimi casi noti e arcinoti, certamente questi avrebbero dovuto essere isolati da subito. La maggioranza degli specialisti invece si è sempre attenuta con passione e rigore alle linee guida concordate insieme all’interno delle società scientifiche nazionali ed internazionali.
Il Registro Nazionale Italiano della Procreazione medicalmente Assistita ha contato dal 2005 fino ad oggi la nascita di quasi 32mila bambini in provetta. Tuttavia la legge 40 ne ha limitato fortemente le potenzialità. Perché nel nostro paese il progresso scientifico incontra questo tipo di ostacoli?
A costo di attirarmi qualche strale, ritengo che il progresso scientifico in Italia incontro molti ostacoli perché siamo un popolo intellettualmente un po’ pigro, ed anche un poco autoriferito: un popolo che ama osservarsi l’ombelico, senza dimostrare una grande capacità di mettere in discussione il vecchio e considerare il nuovo.
Per quello che riguarda il campo della PMA in particolare, ritengo anche che purtroppo il nostro sia un popolo assai carente di senso civico. Non è affatto raro, nella mia attività di specialista, incontrare coppie che non sanno nulla della legge 40 e dei suoi divieti, coppie che sono assai scontente di dover affrontare dei sacrifici per accedere alla fecondazione eterologa all’estero, ma che candidamente dichiarano di non aver mai sentito parlare del referendum abrogativo, quello per cui i vescovi italiani invitarono il paese tutto “ad andare al mare” nel giugno del 2005. In genere le persone italiane danno l’impressione, in questo ambito come forse anche in altri settori della vita pubblica, che se capita un problema specifico bisogna industriarsi a trovare una soluzione, ma questo rimane un fatto privato, non assume un carattere di condivisione: la possibilità di cambiare le cose tutti insieme, come forza sociale sembra non essere un aspetto degno di nota. E’ possibile però che le nuove generazioni, più giovani e più spigliate, molto più confidenti con il mondo delle tecnologie e quindi delle biotecnologie, siano in grado di portare più di un cambiamento all’attuale stato di cose.