Il Sito delle Nazioni Unite dedicato al 25 novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorda che:
– il 70% per cento delle donne sperimenta situazioni di violenza nella sua vita.
– tra 500mila e 2milioni di persone sono vittime di traffico di esseri umani finalizzato allo sfruttamento della prostituzione, sfruttamento del lavoro o schiavitù; di queste, secondo le stime, circa l’80% sono donne, ragazze o bambine.
– si stima che oltre 130 milioni di donne e bambine sono state sottoposte a mutilazioni genitali, per lo più in Africa.
– la violenza causata da partner violenti negli Stati Uniti costa oltre 5.8 miliardi di dollari l’anno. 4.1 miliardi di dollari sono destinati ad interventi di assistenza medica, sanitaria, servizi di assistenza sociale, e a quasi 2 miliardi ammonta il danno per la perdita di produttività.
Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità riserva grande attenzione a questa piaga che colpisce le donne nel mondo, pubblicando nei mesi scorsi l’indagine più ampia mai realizzata sugli abusi fisici e sessuali subiti dalle donne. Si apprende così che nel 33,9% i casi di violenza subita dalle donne sono da attribuire alla mano del proprio compagno e che il 24% di quante l’hanno subita da un conoscente o da un estraneo non ne parla. Che il 14.3% delle donne, è stata vittima di atti di violenza da parte del partner, ma solo il 7% lo ha denunciato. E infine, che la violenza domestica, è la seconda causa di morte per le donne in gravidanza.
Sono dati impressionanti che rispecchiano la drammatica gravità del fenomeno anche nel nostro Paese. In Italia viene uccisa una donna ogni 2,5 giorni. Sono 6.743.000 le donne tra i 16 e i 70 anni, vittime di abusi fisici o sessuali e circa un milione ha subito stupri o tentati stupri. Lo Stato spende a causa della violenza perpetrata in danno delle donne 2,4 mld l’anno. Secondo la Onlus Intervita “la violenza domestica” in Italia costa complessivamente 16.719.540.330 Euro cui vanno aggiunti 6.323.028 Euro spesi in interventi per “prevenzione e contrasto”.
Le Nazioni Unite ci ricordano che la violenza contro le donne:
è una violazione dei diritti umani;
è la conseguenza della discriminazione che le donne subiscono sia sul piano culturale, giuridico che nella pratica, nonché del persistere delle gravi condizioni di disuguaglianza tra uomini e donne;
pregiudica, inibendolo, il progresso e lo sviluppo in molte aree, come ad esempio nell’ambito della lotta alla povertà, all’HIV/AIDS e nella costruzione di condizioni di pace e sicurezza nel mondo.
La violenza alle donne – in qualunque forma si presenti, e in particolare quando si tratta di violenza intrafamiliare – è uno dei fenomeni sociali più nascosti; è la punta dell’iceberg dell’esercizio di potere e controllo dell’uomo sulla donna e si estrinseca in diverse forme come violenza fisica, psicologica e sessuale, fuori e dentro la famiglia. Ma dobbiamo tenere bene a mente che la violenza contro le donne e le giovani, non è inevitabile e che la prevenzione è possibile ed è essenziale in una strategia integrata per sradicare un fenomeno tanto odioso.
Per tutte queste ragioni la Nazioni Unite hanno proclamato il 25 novembre di ogni anno giornata contro la violenza sulle donne, commemorando cosi le sorelle Mirabal, tre attiviste politiche che combatterono la dittatura(1930-1961) del dominicano Rafael Trujillo, con il nome di battaglia Las Mariposas (Le farfalle) e che il 25 novembre 1960 furono assassinate per suo volere. Quest’anno la campagna UNITE promossa dall’ONU (il 25 di ogni mese si deve indossare qualcosa di arancione) prevede che l’”Orange Day” sia esteso dal 25 novembre al 10 dicembre, nel quale si commemora il giorno dei Diritti Umani.
L’impegno delle Nazioni Unite
Uno degli ultimi impegni delle Nazioni Unite nella lotta alla violenza sulle donne è l’approvazione il 16 marzo di quest’anno, della Carte contro la violenza a conclusione dei lavori della cinquantasettesima sessione della Commissione sulla condizione della donna, approvata da 131 Paesi su 198. L’accordo approvato non è vincolante per gli Stati membri, ma è lo start di un processo lungo e difficoltoso che mira a scardinare quelle mentalità e quelle culture ancora molto radicate che discriminano le donne. La Carta esorta ogni paese ad agire per eliminare gli usi, i costumi, le tradizioni o le considerazioni religiose che portano alla violenza nei confronti delle donne e che divergono dagli intenti stabiliti dalla Dichiarazione dell’ONU e dalla Carta universale dei diritti umani. Fulcro del documento è la prevenzione, attraverso l’istruzione e la sensibilizzazione, sulla lotta alle ineguaglianze sociali, politiche e economiche e pone l’accento su un maggiore impegno nell’assicurare l’accessibilità delle vittime alle vie della giustizia. Sottolinea inoltre l’importanza di creare dei servizi multi settoriali per le vittime di violenza in grado di offrire supporto medico, psicologico e sostegno sociale e incentiva a muoversi per sanzioni più dure per gli aggressori ma, ancor prima, a combattere la frequente impunità degli autori dei crimini.
Ma l’impegno della comunità internazionale per eliminare le discriminazioni verso le donne risale agli anni ’60 allorquando si è diffusa nel mondo una nuova coscienza su questi temi e sono sorte molte associazioni dedicate alla lotta contro ogni forma di discriminazione. Nel 1967 viene adottata dall’Assemblea generale la Dichiarazione sull’eliminazione delle discriminazioni contro le donne, ma si deve arrivare al 1979 per vedere approvata la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW) che rappresenta a livello internazionale uno strumento unico, completo e vincolante per eliminare le discriminazioni contro le donne. Nel 1981 è entrata in vigore ed il nostro Paese l’ha ratificata nel 1985 (con la legge n. 132 ). Gli Stati che la recepiscono nel proprio ordinamento si impegnano affinché le donne possano godere in concreto dei loro diritti fondamentali: devono innanzitutto introdurre normative che rimuovano le situazioni di disuguaglianza, ma soprattutto favorire un cambiamento culturale per il riconoscimento della libertà di scelta della donna e della tutela della sua integrità psicofisica. La Cedaw obbliga tutti gli Stati a riconoscere l’uguaglianza giuridica tra uomini e donne, abolire le leggi discriminatorie, contrastare la violenza di genere, eliminare gli stereotipi associati ai ruoli tradizionali di uomini e donne nella famiglia e nella società, istituire tribunali e istituzioni pubbliche per assicurare una protezione effettiva contro la discriminazione.
In Italia
Fino al 1996 in italia la violenza sessuale ledeva la moralità pubblica: i reati di violenza sessuale facevano parte nel codice Rocco “Dei delitti contro la moralità pubblica e il buon costume” . Finalmente con la legge n. 66 del 1996, “Norme contro la violenza sessuale“, si afferma il principio per cui lo stupro è un crimine contro la persona, che viene coartata nella sua libertà sessuale. Solo in anni recenti, quando oramai il fenomeno comincia ad emergere in tutta la sua drammaticità il nostro Paese si dota di una nuova normativa più adeguata a fornire alle autorità di giustizia e alle forze dell’ordine strumenti di contrasto appropriati (decreto legge 11/2009 convertito dalla l. 38/2009, che ha introdotto il reato di stalking e soprattutto la legge n. 119/2013, di conversione con modificazioni del decreto legge 93/2013, nota come “legge contro il femminicidio” che ha introdotto nuove aggravanti e nuove misure a tutela delle vittime di maltrattamenti e violenza domestica. La legge non punta solo alla repressione, ma stanzia risorse per finanziare il piano d’azione antiviolenza, e per ampliare la rete delle case-rifugio e dei centri antiviolenza, nonché l’estensione del gratuito patrocinio.