La Giornata Internazionale contro l’Omofobia fu istituita nel 2007 dall’Unione Europea per celebrare l’anniversario della cancellazione dell’omosessualità come patologia psichiatrica. Una ricorrenza, che ci porta a riflettere sui decisivi passi avanti fatti verso l’accettazione della diversità e dei diritti LGBTI, ma anche su una legislazione che, nel nostro Paese, è ancora incompleta. Per Vox, raccogliamo la riflessione di Yuri Guaiana, segretario nazionale dell’Associazione radicale Certi Diritti e membro del Board di ILGA-Europe.
Il 17 maggio ricorre la Giornata Internazionale contro l’Omofobia (che va considerato termine ampiamente inclusivo anche dei fenomeni di bi- e transfobia), una ricorrenza promossa dall’Unione europea che si celebra dal 2007. L’anno successivo le Nazioni Unite hanno istituito, nell’ambito delle prerogative del nuovo Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite a Ginevra, l’Universal Periodic Review (UPR-Processo di Revisione Universale) una nuova procedura di monitoraggio dei diritti umani, che ha per obiettivo la valutazione periodica (ogni 4 anni) dei progressi compiuti da ciascuno dei 192 Paesi delle Nazioni Unite.
Il 9 febbraio 2010 ha avuto luogo a Ginevra a Palais des Nations, sede del Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, il primo esame dell’Italia nell’ambito della UPR e quest’anno si svolgerà la valutazione successiva. Questa coincidenza rende assai interessante accennare alla situazione dei diritti umani delle persone LGBTI in Italia, traendo buona parte delle informazioni dal documento, già depositato all’ONU, redatto da una coalizione di associazioni composta da ILGA-Europe, Centro Risorse LGBTI, Associazione Radicale Certi Diritti, Famiglie Arcobaleno e Intersexioni.
Il rispetto dei diritti umani delle persone LGBTI in Italia è minato da una legislazione spesso incompleta. Negli ultimi dieci anni, sotto la guida dell’Unione Europea, è stata introdotta una legislazione che proibisce le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e – in qualche caso – l’identità di genere nel campo dell’impiego pubblico e privato. Nell’aprile del 2013 una Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere (2013-2015) è stata adottata da un decreto ministeriale. La Strategia nazionale è stata definita dall’UNAR (l’Ufficio nazionale per la promozione di pari opportunità e la rimozione delle discriminazioni basate sull’origine etnica o razziale), che opera presso il Dipartimento delle Pari Opportunità e dal 2010 ha esteso la sua missione alla rimozione delle discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere, in collaborazione con il Consiglio d’Europa. Tuttavia, l’allargamento della giurisdizione dell’UNAR non è prescritto dalla legge: conseguente- mente il ruolo dell’Ufficio nel combattere le discriminazioni contro le persone LGBTI non è ancora permanente e rimane vulnerabile alle contingenze politiche.
L’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti di discriminazione (OSCAD) è stato fondato – attraverso un mero atto amministrativo – allo scopo di aiutare individui appartenenti a delle minoranze a godere del diritto all’eguaglianza davanti alla legge e di garantirne la protezione da ogni forma di discriminazione, incluse quelle basate su orientamento sessuale e identità di genere. Nonostante la costituzione di questi due organismi, all’Italia continua a mancare una “Istituzione nazionale indipendente per i diritti umani”, in linea con gli standard promossi dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite contenuta nella Risoluzione n. 48/134 del 20 dicembre 1993 e i Principi di Parigi, sebbene alcune proposte di legge in questo senso giacciano da tempo in Parlamento. Nel settembre 2013, invece, il Comitato Interministeriale per i Diritti Umani è stato ricostituito dopo essere stato eliminato dalla spending review del 2012.
Manca anche una specifica legge che riconosca la natura omofoba di alcuni crimini d’odio, mentre le forze di polizia hanno iniziato ad essere formate anche sulle discriminazioni basate su orientamento sessuale e identità di genere grazie al contributo congiunto di OSCAD e UNAR. Negli ultimi dieci anni, alcuni legislatori regionali hanno invece giocato un ruolo attivo nella lotta alle discriminazioni di ogni tipo e , in particolare, di quelle basate sull’orientamento sessuale e, anche, sull’identità di genere (Toscana, Umbria, Emilia- Romagna, Liguria e Marche). In anni recenti, discorsi d’odio contro le persone LGBTI sono venuti direttamente da ufficiali pubblici e politici. Inoltre, quando tali incidenti accadono, manca un’adeguata reazione di figure pubbliche altrettanto prominenti. Essendo le discriminazioni e gli atti di violenza basate sull’orientamento sessuale, l’identità e, non dimentichiamo, l’espressione di genere, inaccettabili tanto quanto le discriminazioni basate su altre caratteristiche ascritte dell’individuo come il genere, la disabilità, l’età, l’etnia, la nazionalità e la religione, è necessaria e urgente l’adozione di un piano nazionale integrato per i diritti umani in accordo con la Dichiarazione e il Programma d’Azione di Vienna, nonché un adeguato stanziamento finanziario necessario per la sua implementazione. Il Piano deve includere anche previsioni contro le discriminazioni basate su orientamento sessuale, identità ed espressione di genere nonché assorbire gli altri altri piani e programmi nazionali che abbiano ricadute sui diritti umani e sulle attività di prevenzione e contrasto ai fenomeni causati da odio. La vita privata, la libertà d’espressione e di riunione sono rispettate, e le associazioni LGBTI possono operare liberamente e interagire con gli apparati di governo; restano tuttavia chiare manifestazioni di ostilità da parte di alcuni politici, leader religiosi e pubblici ufficiali.
Le coppie formate da persone dello stesso sesso sono discriminate rispetto alle coppie di sesso diverso e le istituzioni, al momento, non paiono voler trovare soluzioni ai problemi di vita quotidiana che queste discriminazioni causano, nonostante da quattro anni la Corte Costituzionale abbia chiesto al Parlamento di legittimare «l’unione omosessuale, intesa come stabile convivenza tra due persone dello stesso sesso, cui spetta il diritto fondamentale di vivere liberamente una condizione di coppia, ottenendone […] il riconoscimento giuridico con i connessi diritti e doveri». Per colmare questo grave vulnus 23 costituzionalisti insieme a circa 800 cittadini italiani hanno sottoscritto un appello, promosso dall’Associazione Radicale Certi Diritti, per chiedere «al Parlamento di rispondere al più presto alla Corte Costituzionale approvando subito una disciplina di carattere generale, finalizzata a regolare diritti e doveri delle coppie di persone dello stesso sesso e delle famiglie omogenitoriali, riconoscendo un diritto fondamentale da troppo tempo ignorato» (l’appello può ancora essere sottoscritto a questo indirizzo: http://www.certidiritti.org/il-parlamento-risponda-allinvito-della-corte-costituzionale-4-anni-per-riconoscere-alle-coppie-dello-stesso-sesso-un-diritto-negato-sono-troppi/).
I figli nati all’interno di famiglie con a capo coppie omosessuali non godono degli stessi diritti degli altri figli, dato che la normativa rilevante è la stessa che si applica ai genitori single. Ai figli di genitori dello stesso sesso è negato il diritto ad essere mantenuto, accudito, educato ed istruito dal genitore ‘non-legale’; alla garanzia di continuità affettiva in caso di separazione della coppia omosessuale o di morte del genitore ‘legale’; a entrare nei rapporti di parentela (nonni, zii, cugini, etc.) del genitore ‘non-legale’ riconosciuto; a subentrare nella successione del genitore ‘non-legale’, e quindi a riceverne l’eredità, a meno di successione testamentaria, che però garantisce un accesso limitato al patrimonio del de cuius e con regime di tassazione diverso da quello applicato ai figli legalmente riconosciuti.”
La riassegnazione di genere è consentita dalla legge, le procedure mediche sono accessibili gratuitamente ed il cambio di nome nei documenti è garantito. Tuttavia, la mancanza di una regolamentazione delle procedure del percorso di riassegnazione di genere è causa di incertezza e di una differenziazione di approcci sul territorio nazionale. Inoltre, la sterilizzazione irreversibile è ancora ampiamente considerata un requisito preliminare fondamentale per accedere al percorso di riassegnazione di genere ed il sistema sanitario non garantisce in tutte le regioni d’Italia l’accesso gratuito alle cure ormonali per l’adeguamento delle caratteristiche sessuali secondarie.
Non sono stati ancora raccolti dei dati completi sul numero di persone intersessuali presenti sul territorio nazionale, inoltre, tali dati sono assenti anche per quanto riguarda le nuove nascite e sono assenti anche i dati sulle persone che si sottopongono ad operazioni chirurgiche e a quei trattamenti medici che non presuppongono l’intervento chirurgico. Non viene nemmeno effettuato alcun monitoraggio sistematico sulle conseguenze che i bambini intersessuali trattati precocemente possono incontrare sul lungo termine.
Nel decennio passato le istituzioni dello stato hanno promosso misure volte a contrastare i fenomeni di violenza, bullismo e le discriminazioni in ambito scolastico ma nessuna di queste contrasta esplicitamente l’omofobia e la transfobia. Alcune iniziative contro l’omofobia nella scuola sono state adottate, ma la transfobia è costantemente tralasciata, e le reazioni di gruppi organizzati contro di esse rende il percorso assai periglioso e accidentato.
Complessivamente, osservando le politiche per la salute, il sistema sanitario non considera i bisogni e le specificità delle persone LGBT. La formazione del personale socio-sanitario non affronta tali questioni in maniera strutturata con conseguenze negative sulla qualità dei servizi e sul contesto in cui sono forniti.
La legge italiana è interpretata nel senso di considerare la persecuzione basata sull’orientamento sessuale come condizione per ottenere lo status di rifugiato o una protezione umanitaria, mentre l’identità di genere è ancora negletta. Nonostante ciò, alcuni casi saranno discussi dalle autorità competenti a breve.
Infine, la Commissione straordinaria del Senato per la protezione dei Diritti Umani ha evidenziato la chiara e totale incompetenza dello staff carcerario sulle tematiche connesse all’orientamento sessuale e all’identità di genere, oltre ad aver messo in risalto le gravi forme di discriminazione a cui i detenuti LGBTI sono soggetti. Ad esempio, in prigione, i detenuti spesso non riescono a continua- re le terapie ormonali o non è permesso ai detenuti transgender di utilizzare i cosmetici a proprio piacimento.”