Nel 2013 la povertà ha colpito oltre 6 milioni di persone – pari al 9.9% della popolazione italiana – e ha coinvolto circa 303 mila famiglie e 1 milione 206 mila persone in più rispetto all’anno precedente. Povera o quasi una famiglia su cinque. A rivelarlo, l’ultimo rapporto Istat sulla povertà in Italia, presentato a Roma in questi giorni. Per il nostro Paese servono proposte concrete e una misura nazionale contro la povertà. Su Vox, il commento di Isabella Menichini, dirigente pubblico esperto di politiche e diritti sociali.
Nonostante gli sforzi di molti, continuare a far finta che la povertà in Italia non esista diventa sempre più difficile. Lo mostrano con chiarezza, da ultimo, due Rapporti presentati in questi giorni. L’Istat ha reso noti i nuovi dati sulla diffusione della povertà nel nostro Paese (consultabile qui), mentre la Caritas ha presentato il proprio Rapporto sulle politiche per contrastarla (consultabile qui).
Ci si riferisce qui alla povertà assoluta, cioè quella condizione che vive chi non può sostenere le spese minime necessarie ad acquisire i beni e i servizi ritenuti essenziali a conseguire uno “standard di vita minimamente accettabile”. Ciò significa, in concreto, poter raggiungere livelli nutrizionali adeguati, vivere in un’abitazione dotata di acqua calda ed energia, potersi vestire decentemente, muoversi nel territorio e così via. Non si tratta, dunque, di quell’impoverimento che riguarda una parte ben più ampia della popolazione, costringendola a rinunciare ad alcuni consumi desiderati (come apparecchi tecnologici o la possibilità di andare fuori città in estate) senza però impedirle la fruizione dei beni e dei servizi essenziali. Stiamo parlando, invece, dell’impossibilità di condurre uno standard di vita ritenuto minimamente accettabile nel proprio contesto sociale.
I nuovi dati Istat mostrano che nel 2013 la povertà ha toccato quota 6 milioni, pari quindi al 9.9% della popolazione, in aumento rispetto ai 4,8 milioni (8% del totale) fatto registrare l’anno precedente. Si tratta evidentemente di un dato drammatico, eredità della crisi, ma soprattutto risultato delle scelte dei governi che si sono succeduti dall’alba di questo millennio di fare poco o nulla per ridurre la povertà nel nostro Paese. I dati ISTAT mostrano, inoltre, che la povertà raggiunge parti della società che erano ritenute, sino a poco tempo fa, “invulnerabili”. Nel 2007 l’indigenza si concentrava al Sud, tra gli anziani, tra le famiglie senza lavoratori e tra chi ha almeno tre figli. Negli ultimi anni, oltre ad un’ulteriore diffusione tra questi gruppi, ha conosciuto una netta espansione in segmenti prima solo marginalmente toccati: il Nord, le famiglie giovani, i nuclei con lavoratori e quelli con due figli. L’auspicata ripresa economica potrà – nel prossimo futuro – ridurre il tasso di povertà ma non farlo tornare ai livelli pre-crisi, a causa dell’indebolimento strutturale del contesto italiano.
Il Rapporto presentato dalla Caritas mette chiaramente in evidenza come nel nostro Paese, davanti ad una simile diffusione della povertà, le politiche di contrasto siano rimaste fortemente deficitarie. Da oltre un decennio, infatti, condividiamo con la Grecia il poco invidiabile primato di essere l’unica nazione dell’Europa a 15 priva di una misura nazionale contro la povertà assoluta. I tratti della necessaria misura nazionale – definito come Sostegno per l’inclusione attiva (SIA) o Reddito d’Inclusione Sociale (Reis) – sono condivisi da tutti gli esperti e riflettono quelle esistenti negli altri Paesi, dove ogni famiglia in povertà assoluta riceve un contributo economico, pari alla differenza tra il proprio reddito e la soglia di povertà. I beneficiari sono coinvolti in progetti di inclusione nei quali il mix tra servizi – sociali, educativi, per l’impiego – e trasferimenti monetari, consente di costruire – o ricostruire – un percorso di reinserimento attivo nella società e nel mercato del lavoro, grazie a nuove competenze e/o ad un’organizzazione diversa della propria esistenza. Concorrono a realizzare un sistema di inclusione cosi articolato, i Comuni, il Terzo Settore e altri soggetti del territorio.
Ma, dal 2008 ad oggi, in Italia non sono state attivate misure capaci di migliorare in modo significativo le condizioni delle famiglie povere. Ha visto la luce la Social Card, 40 euro mensili rivolti a nuclei indigenti con un bambino entro i 3 anni o un anziano con più di 65, ma il suo impatto – al di là delle valutazioni di merito sulla validità della misura – è stato comunque marginale, per l’esiguità dell’importo e il ridotto numero di utenti (535.000). Il precedente Esecutivo ha predisposto alcune sperimentazioni locali; la più nota riguarda la Nuova Social Card (attivata nei dodici maggiori Comuni italiani e definita tenendo conto delle migliori proposte), ma si tratta di interventi a durata limitata e utenza circoscritta. Le risposte alla povertà in questi anni di crisi sono venute solo dai Comuni (e dalle tante valide iniziative promosse da Enti del No Profit) che, peraltro, proprio in questi anni sono stati fortemente penalizzati dai tagli operati dai Governi sia sui fondi dedicati alle Politiche sociali che sui trasferimenti: il calo registrato dal 2008 al 2014 è del 62%: vuol dire che mentre la povertà cresceva freneticamente, le politiche pubbliche venivano ulteriormente indebolite.
Il Rapporto Caritas conferma che le sperimentazioni attivate potranno servire solo se le indicazioni che ne stanno emergendo, verranno impiegate nella costruzione di un Piano nazionale contro la povertà, dedicato alla costruzione di una misura generalizzata di contrasto alla povertà, e che dovrà essere riconosciuta come livello essenziale delle prestazioni, secondo quanto indicato all’articolo 117 della Costituzione.
Come abbiamo già avuto modo di ricordare su Vox, la lotta alla povertà costituisce una questione di diritti fondamentali, innanzitutto perché questo è uno degli impegni che la comunità internazionale ha assunto in maniera forte con i Trattati internazionali che si occupano di diritti sociali. Inoltre, perché l’Unione Europea con due Raccomandazioni – la prima del 1992 richiamata e innovata nel 2008 – ha invitato tutti gli Stati aderenti a dotarsi di un sistema integrato di lotta alla povertà finalizzato a garantire dignità, inclusione sociale e lavorativa a tutti i cittadini.
Le proposte ricordate – in particolare il REIS – vanno in questa direzione: riconoscere un diritto che assicura tutela e offra protezione a chiunque cada in povertà assoluta. L’unica strada possibile per combattere seriamente la povertà consiste nell’introdurre un pacchetto di diritti e doveri, in una logica, dove gli uni non possano prescindere dagli altri. Le famiglie cadute in povertà assoluta hanno il diritto – garantito dalla definizione di un livello essenziale – a una tutela pubblica e, contemporaneamente, devono compiere ogni sforzo per raggiungere il loro inserimento sociale. Da qui l’esigenza di mettere in campo in maniera organica un mix di interventi e prestazioni: da un lato assicurando un sostegno economico adeguato, dall’altro l’attivazione di progetti individualizzati a cura dei servizi – sociali, sanitari, educativi, per la formazione e l’impiego, che accompagnano le famiglie verso l’autonomia e il pieno reinserimento nel tessuto sociale e produttivo. Nell’esperienza internazionale il beneficiario è titolare di doveri ma contestualmente anche di diritti; vige una condizionalità reciproca tra utente e amministrazione pubblica: il primo deve fare ogni sforzo per migliorare la sua situazione e, contemporaneamente, l’amministrazione deve assicurargli gli strumenti e le opportunità in questa direzione. Puntare sul ‘mix’ diritti/ doveri costituisce la via verso una migliore efficacia dell’intervento, lo dicono l’esperienza e le ricerche. Se il beneficiario è tenuto a rispettare il patto di inserimento (sociale o lavorativo), pena l’introduzione di sanzioni anche aspre, allo stesso modo l’amministrazione pubblica è tenuta a fornire dei servizi di qualità, tempestivi ed efficaci.
Sul come si debba affrontare la questione della povertà in Italia non vi sono dubbi, le proposte sono chiare, ben articolate e condivise. Ora serve la volontà politica di realizzarle.