Ogni giorno giovani vittime di omofobia si rivolgono a psicologi in cerca del supporto necessario per affrontare quello che gli specialisti chiamano “minority stress”. Ma i professionisti ai quali ci si rivolge hanno davvero gli strumenti e le conoscenze utili ad ascoltare e comprendere i propri pazienti? L’Ordine degli Psicologi del Lazio, con il contributo di Vittorio Lingiardi, presenta sabato a Roma le Linee Guida per la consulenza psicologica e la psicoterapia con persone lesbiche, gay e bisessuali. Un documento che offre un aggiornamento scientifico agli esperti che ancora hanno dell’omosessualità una visione patologizzante.
Sabato 20 settembre a Roma l’Ordine degli Psicologi del Lazio ha presentato il primo contributo per la consulenza e la psicoterapia con persone gay, lesbiche e bisessuali. Un documento redatto da Vittorio Lingiardi, docente di psicologia dinamica all’Università La Sapienza di Roma, con la collaborazione dello psichiatra e psicanalista Nicola Nardelli, per cercare di colmare le lacune che gli psicologi ancora hanno e offrire gli strumenti necessari per comprendere i temi e le esperienze delle persone omosessuali. Un passo apparentemente piccolo per la lotta all’omofobia, ma che spiana la strada a un’importante riflessione. La società contemporanea, purtroppo ancora vittima di atteggiamenti ostili verso i giovani omosessuali, non è sempre facile: secondo un rapporto redatto dall’Arcigay a maggio, crescono i casi di aggressione fisica o verbale nei confronti delle persone gay, con un incremento del 54% solo negli ultimi dodici mesi. E il suicidio del quindicenne avvenuto a Roma l’11 agosto scorso perchè deriso dai compagni per il proprio orientamento sessuale ne è un chiaro segnale d’allarme.
Per questo motivo psicologi e psicoterapeuti diventano degli importanti punti di riferimento per questi pazienti, vittime di un pregiudizio che spesso può trasformarsi in autodisprezzo, depressione o ansia, sintomi che per i clinici sono più noti come “minority stress” o “omofobia interiorizzata”. Tuttavia in alcuni casi, la capacità d’ascolto da parte del professionista può non essere imparziale, e cadere in facili pregiudizi o stigmi che possono compromettere l’efficacia della terapia. Sebbene da decenni l’Organizzazione mondiale della sanità non consideri più l’omosessualità una patologia vera e propria, sono ancora presenti esperti che ne hanno una visione patologizzante o deviata.
Dati di ricerche condotte su più di 25 mila professionisti italiani dimostrano che molti non ne sanno ancora abbastanza, evidenziando grandi lacune e distorsioni da parte della cultura scientifica in tema di omosessualità (il 60% degli psicologi, in casi di pazienti dall’omosessualità egodistonica, punterebbe ancora a modificarne l’orientamento sessuale). Per questo motivo è importante fornire un aggiornamento scientifico che possa sopprimere qualsiasi tipo di pensiero, atteggiamento eteronormativo o addirittura omofobo. Solo in questo modo è possibile spiegare ai pochi psicologi ancora ignari, che il vero problema da curare oggi non è l’omosessualità, ma l’omofobia.