La nuova legge elettorale, di cui tanto si discute in questi mesi, non potrà prescindere dal prevedere norme antidiscriminatorie al fine di garantire un’equilibrata rappresentanza di genere in Parlamento.
Infatti, la nostra Costituzione prevede il principio di uguaglianza fra i generi (art. 3 Cost.) e il principio di parità di accesso alle cariche elettive (art. 51 Cost.). Inoltre, la giurisprudenza continua a spingere per l’applicazione effettiva del principio di parità anche in sede politica.
Cerchiamo di capire quali possano essere le soluzioni normative più idonee, a seconda del sistema elettorale prescelto, al fine di garantire un’effettiva parità di genere in Parlamento
– Nell’ambito di un sistema proporzionale:
Se ci si orienterà per un intervento di manutenzione dell’attuale legge elettorale, n. 270 del 2005 (Porcellum), le proposte potrebbero essere di due tipi, a seconda che si decida di ripristinare o meno il voto di preferenza.
a) sistema proporzionale con voto di preferenza.
Qualora si reintroducesse la possibilità, per l’elettore, di esprimere il voto di preferenza, strumento utile sarebbe certamente quello della doppia preferenza di genere. Tale meccanismo prevede la possibilità per l’elettore di esprimere sino a due preferenze dovendo, però, in questo caso, far ricadere la propria scelta su candidati di genere differente. La previsione andrebbe accompagnata ad un vincolo concernente la composizione delle liste elettorali, di modo che sia garantita una congrua presenza di candidate di genere femminile.
Sotto il profilo dell’efficacia, forse il sistema della doppia preferenza non garantisce significativi risultati nell’immediato, ma è congegno che ha il pregio, a mio avviso, di agire a favore di un rinnovamento culturale, capace di produrre buoni risultati certamente nel lungo periodo. La doppia preferenza di genere abitua infatti l’elettore all’idea che si possa votare sia per uomini sia per donne.
b) sistema proporzionale con liste bloccate.
Se il legislatore decidesse, invece, di non eliminare la regola delle liste bloccate, mi pare che la sola soluzione possibile sarebbe quella di intervenire sulla scelta dei candidati da parte dei partiti politici, prevedendo riserve di posti a favore di ciascun genere.
In questo senso ci sarebbe da vagliare attentamente l’ipotesi di una misura molto forte. Ci si riferisce all’imposizione per i partiti di redigere le liste in modo che i candidati compaiano alternati per genere. Qui si pone un serio quesito di costituzionalità.
Tale soluzione, tuttavia, prevedendo un meccanismo rigido, che di fatto assicura l’ingresso in Parlamento a seconda della posizione in lista, potrebbe porsi in difficile equilibrio con la giurisprudenza della Corte costituzionale, che considera costituzionalmente illegittime misure volte a garantire direttamente un risultato.
In alternativa, si potrebbe invece richiedere che donne e uomini compaiano in misura eguale nelle liste (la soluzione 50&50), lasciandoli però liberi i partiti di stabilire l’ordine dei candidati. Si potrebbe in altre parole stabilire che “Nelle liste dei candidati i generi devono essere ugualmente rappresentati”.
– Nell’ambito di un sistema maggioritario:
Altra prospettiva è quella invece di ripristinare il Mattarellum, o comunque di adottare una legge imperniata sul sistema maggioritario a collegio uninominale (a unico o doppio turno). Ecco, anche in questo caso si possono immaginare diverse soluzioni.
1) Collegi “binominali” donna-uomo:
Come propongono numerose associazioni di donne, tra le quali la Rete per la parità, si potrebbe prevedere che in ciascun collegio si attribuisca non già un seggio ma due, con l’obbligo per i partiti di presentare un ticket uomo-donna. Il partito che prende più voti si aggiudica entrambi i seggi.
2) Collegi uninominali a c.d. ‘coppia aperta’ (proposto dalla Prof.ssa Carlassare):
In alternativa, si potrebbe prevedere – come più volte proposto da Lorenza Carlassare – che il collegio rimanga uninominale, ma che il partito sia comunque obbligato a presentare un uomo e una donna. L’elettore, dunque, dovrebbe votare per l’uno o per l’altro candidato. In questo modo, il seggio verrebbe assegnato al partito la cui ‘coppia’ di candidati abbia ottenuto più voti, ma a vincere fra i due sarebbe quello o quella che abbia ricevuto maggiori consensi. A differenza della prima proposta, tuttavia, questa potrebbe accentuare fortemente la competizione tra i due candidati del medesimo partito, sebbene, entrambi abbiano interesse ad attrarre voti sulla propria coppia.
3) Candidature 50&50 nel complesso dei collegi:
Una diversa proposta, certamente meno efficace, potrebbe essere quella di stabilire un obbligo per i partiti di candidare, nel complesso dei collegi, donne e uomini in numero eguale. C’è però il rischio che le donne vengano relegate nei collegi ‘deboli’, dove il partito sa di avere meno possibilità di vincere.
– Nell’ambito di un sistema misto:
Qualora si accedesse ad un sistema misto, che attribuisce seggi in parte con sistema uninominale, in parte con sistema proporzionale, le soluzioni sopra prospettate potrebbero ovviamente combinarsi.
Nel progetto di legge presentato dal Partito democratico nella scorsa legislatura, ad esempio, si prevedeva che, a pena di inammissibilità, nel totale dato dalla somma dei candidati presentati nei collegi uninominali e dei candidati contenuti nell’elenco che compone la lista circoscrizionale cui sono collegati nessuno dei due generi potesse essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento.
Inoltre, si stabiliva che ciascuna lista circoscrizionale dovesse essere composta di candidati alternati per genere. Per le liste nazionali, invece, si prevedeva anche che nessuno dei due generi potesse essere rappresentato in misura superiore al cinquanta per cento. Le specifiche misure, ovviamente, potrebbero essere differentemente modulate.
Concludo rilevando come, al di là delle misure normative che si deciderà di introdurre per favorire una più equilibrata presenza di genere in Parlamento, fondamentale rimane il contributo dei partiti politici. Non basta che le donne siano collocate nelle liste o candidate nei collegi uninominali in misura congrua. I partiti devono inserirle nei collegi ‘forti’ (se si opterà per un sistema maggioritario uninominale), devono collocarle nelle posizioni alte delle liste (se si opterà per un sistema proporzionale a liste bloccate), devono sostenere realmente le loro candidature (soprattutto laddove si reintroducesse il voto di preferenza).
Insomma, quella delle donne deve essere una presenza di sostanza. E solo la volontà dei partiti politici può darci questa garanzia.
Marilisa D’Amico