Con il 50,3% delle preferenze (nel Canton Ticino, i favorevoli sfiorano addirittura il 70%), è stato approvato in Svizzera il referendum contro l’immigrazione di massa. Il referendum, che non avrà ripercussioni immediate, punta a bloccare l’accordo di libera circolazione in vigore con l’Unione europea e a reintrodurre i contingenti per i lavoratori stranieri. Cosa cambierà per i tanti italiani che lavorano in Svizzera? Proviamo a fare un punto della situazione.
Promosso dal partito antieuropeista Unione Democratica di Centro (Udc), voce populista dagli accenti xenofobi contro gli immigrati, il referendum che ha visto qualche giorno fa la Svizzera improvvisamente avversa agli stranieri, pone oggi l’Unione europea davanti ad un scenario del tutto inaspettato. E pone noi italiani, davanti al rischio di gravi conseguenze per i tanti nostri connazionali che in Svizzera vivono e lavorano o per i tanti che ogni giorno passano la frontiera per andare a svolgere le loro attività sul territorio elvetico, tornandosene la sera a casa in Italia. La campagna promossa dall’Udc è stata aggressiva contro gli immigrati a cui viene addebitato di tutto: dal caro affitto, ai treni affollati e al traffico nelle strade. Ma è soprattutto il tema del lavoro quello che su cui si è fatta maggiormente leva: il lavoro tolto agli svizzeri, anche grazie al dumping sociale: è su questo soprattutto che si sono alzate le voci degli avversari dei nostri lavoratori transfrontalieri.
Il risultato finale è stato 50,3% dei sì contro 49,7% dei no. Per vincere, l’iniziativa aveva bisogno di una doppia maggioranza, sia dei cantoni che dei votanti. La maggioranza dei cantoni è emersa da subito, mentre per la maggioranza dei votanti si è dovuto attendere sino al termine delle votazioni. Un risultato cosi, nonostante la posizione certamente contraria del Governo che aveva evidenziato il rischio per la sopravvivenza degli Accordi in vigore con la UE per la circolazione dei lavoratori e delle merci cui la Svizzera ha aderito oramai dai decenni e che consentono il reclutamento di mano d’opera e l’esportazione di tanta produzione. E ovviamente la posizione contraria della Confindustria elvetica: “Un lavoro su tre dipende dal rapporto con i paesi europei e un terzo di ogni franco svizzero delle esportazioni viene guadagnato in Europa”.
I primi accordi siglati tra l’Unione europea e la Svizzera risalgono al 1999 e riguardano appunto la libera circolazione dei lavoratori (ALC) , delle merci, e poi il settore dei trasporti, dell’agricoltura, eccetera. Il diritto alla libera circolazione delle persone è stato completato mediante disposizioni sul riconoscimento reciproco dei diplomi, sull’acquisto di immobili e sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale: in tal modo di fatto pur avendo il popolo elvetico rifiutato l’adesione all’Unione europea (referendum del 1992), i principi alla base della spazio comune europeo vengono riconosciuti validi anche in Svizzera a partire proprio dal diritto di muoversi e lavorare liberamente nei territori di tutti gli Stati Ue e elvetico. Il referendum indetto nel 2006 a seguito dell’allargamento aveva confermato tra l’altro la scelta di godere di un’area di completa libertà di circolazione.
Cosa succederà ora? In realtà ancora non è chiaro, ma alcuni primi effetti già si manifestano. Il Presidente Barroso ha vigorosamente ribadito che la libera circolazione delle merci è inscindibile da quella dei lavoratori ed è quindi impensabile l’apertura di un negoziato con la Svizzera su questo tema, punto centrale ed “essenziale” dei rapporti UE/Confederazione svizzera. La scelta fatta dal popolo svizzero secondo Barroso pone problemi seri e sta a quel Governo avanzare delle proposte per individuare soluzioni appropriate. “l’Ue offre condizioni eccezionali alla Svizzera e non e’ giusto che la Svizzera non dia le stesse condizioni. La Svizzera potrebbe avere dei problemi a rispettare l’accordo”. Nel frattempo l’Unione europea ha bloccato il negoziato sull’elettricità che non può non essere considerato nella cornice complessiva degli accordi tra le due parti.
Questi i fatti che non spiegano fino in fondo la gravità dei risultati del referendum svizzero di due settimane fa. Non si può non ricordare infatti che la libera circolazione delle persone è una delle quattro libertà fondamentali garantite dall’ordinamento giuridico della UE, un pilastro quindi della architettura comunitaria inizialmente concepita come libera circolazione degli operatori economici al fine di prestare lavoro subordinato nel territorio degli Stati membri, che ha visto ampliare il suo raggio di azione, includendo così il più generale diritto per i cittadini europei di soggiornare e circolare liberamente in tutto il territorio europeo ed in quello dei Paesi come la Svizzera che hanno comunque riconosciuto fino ad oggi il valore di tali diritti. Libera circolazione delle persone significa divieto di ogni discriminazione tra lavoratori degli Stati membri fondata sulla nazionalità, per quanto riguarda l’impiego, la retribuzione e qualunque altra condizione di lavoro quali ad esempio il diritto di spostarsi, risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri per svolgervi un’attività lavorativa. Tornare indietro su questo significa rimettere in discussione uno dei fondamenti dell’Unione europea. Ed è proprio a questo che il leader antieuropeista dell’Udc sembra puntare: reintrodurre i contingenti per i lavoratori stranieri, favorendo gli autoctoni, riscrivendo di fatto gli Accordi in vigore con l’UE. Nel Canton Ticino, dove la vittoria è andata oltre il 68% (il miglior risultato), lavorano quasi 60mila transfrontalieri italiani: ancora non è chiaro cosa li aspetta. Stando a queste notizie serpeggia una certa preoccupazione, anche tra le nostre autorità. Proprio in questi giorni il Ministro Emma Bonino ha definito molto preoccupante l’impatto del referendum per il nostro Paese e per gli accordi con l’Unione europea.