Con la sentenza n. 1 del 2014, la Corte costituzionale ha sancito la non conformità con i principi costituzionali della legge elettorale attualmente vigente per l’elezione di Camera e Senato, in relazione a due aspetti specifici: il premio di maggioranza, assegnato alla Camera su base nazionale e al Senato su base regionale, e le c.d. liste “bloccate”, che, nel rimettere ai partiti politici ogni scelta in merito alla composizione delle liste elettorali, lasciano “fuori” il cittadino da quel circuito che gli consentirebbe di esprimersi direttamente sulla scelta dei propri rappresentanti in Parlamento.
Il Giudice costituzionale è intervenuto a seguito della sollecitazione della Suprema Corte di Cassazione che, il 17 maggio 2013, aveva sollevato dinanzi alla Corte costituzionale dubbi di legittimità costituzionale sulla legge elettorale nazionale, n. 270 del 2005, che contiene la disciplina attualmente vigente per l’elezione dei rappresentanti di Camera e Senato.
In quell’occasione, la Corte di Cassazione chiedeva alla Corte costituzionale di esprimersi intorno a quei meccanismi previsti dalla legge elettorale vigente, ossia il premio di maggioranza e le liste c.d. “bloccate”, che, così come congeniati, finiscono con il comprimere l’esercizio del diritto di voto del cittadino, che la Costituzione impone sia eguale, libero e segreto a norma dell’art. 48 Cost., creando distorsioni e finanche stravolgendo, la volontà espressa dall’elettore.
Nella sua sentenza, le cui motivazioni sono state depositate la scorsa settimana, la Corte costituzionale, aderendo alla tesi della Suprema Corte di Cassazione, si è espressa nel senso dell’incostituzionalità sia delle norme che disciplinano il meccanismo a cui è subordinata l’operatività del premio di maggioranza, in quanto sono tali – dice la Corte – da alterare “il circuito democratico definito dalla Costituzione, basato sul principio fondamentale di eguaglianza del voto”, sia in relazione al sistema delle c.d. liste “bloccate”.
Con riguardo al sistema premiale, il Giudice costituzionale ne sottolinea la sproporzione, nonché il carattere distorsivo rispetto alla volontà espressa dall’elettore.
Ad avviso del Giudice costituzionale, infatti, la combinazione assenza di una ragionevole soglia minima di voti per competere all’assegnazione del premio / premio di maggioranza produce “una illimitata compressione della rappresentatività dell’assemblea parlamentare, incompatibile con i principi costituzionali in base ai quali le assemblee parlamentari sono sedi esclusive della ‘rappresentanza politica nazionale’ (art. 67 Cost.), si fondano sull’espressione del voto e quindi della sovranità popolare, ed in virtù di ciò ad esse sono affidate funzioni fondamentali, dotate di ‘una caratterizzazione tipica ed infungibile’ […], fra le quali vi sono, accanto a quelle di indirizzo e controllo del governo, anche le delicate funzioni connesse alla stessa garanzia della Costituzione (art. 138 Cost.)”.
Pur perseguendo la finalità di assicurare la stabilità della compagine governativa, scopo che la Corte costituzionale riconosce di “rilievo costituzionale”, le norme che disciplinano il meccanismo premiale si risolvono, ad avviso del Giudice costituzionale, nel sacrificio di altri interessi costituzionalmente protetti rispetto ai quali la scelta legislativa si appalesa come una soluzione non bilanciata fra principi costituzionali meritevoli di tutela – tra cui, ad esempio, il principio dell’eguale diritto di voto – ponendosi in contrasto con gli articoli 1, comma 2, 3, 48 e 67 della Costituzione.
Con riferimento al tema del rapporto tra cittadino elettore e rappresentante, la Corte costituzionale muove dalla definizione delle implicazioni sottese all’operatività del congegno delle liste c.d. “bloccate”, anticipando come tale meccanismo di fatto priva l’elettore di qualsiasi margine di scelta dei propri rappresentanti, essendo tale scelta “totalmente” rimessa ai partiti politici.
Ne deriva un sistema in cui la libertà dell’elettore è irrimediabilmente compromessa a fronte di un sistema in cui “il cittadino è chiamato a determinare l’elezione di tutti i deputati e di tutti senatori, votando un elenco spesso assai lungo […] di candidati, che difficilmente conosce”.
Particolarmente chiara è la Corte nel sottolineare la contrarietà ai principi costituzionali del sistema elettorale vigente nella parte in cui priva l’elettore della possibilità di operare una selezione tra i candidati a ricoprire la carica di Deputato o di Senatore della Repubblica. Ed, infatti, la Corte rimarca che “è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione”. Ancora più esplicito è un passaggio successivo della motivazione in cui il Giudice costituzionale chiarisce che: “le condizioni stabilite dalle norme censurate sono […] tali da alterare per l’intero complesso dei parlamentari il rapporto di rappresentanza fra elettori ed eletti. Anzi, impedendo che esso si costituisca correttamente e direttamente, coartano la libertà di scelta degli elettori nell’elezione dei propri rappresentanti in Parlamento, che costituisce una delle principali espressioni della sovranità popolare, e pertanto contraddicono il principio democratico, incidendo sulla stessa libertà del voto di cui all’art. 48 Cost.”.
Si tratta, dunque, di affermazioni di principio di assoluta importanza, che dimostrano la necessità di riassegnare piena ed effettiva consistenza e centralità al principio democratico, di cui l’eguaglianza del voto costituisce uno dei suoi più immediati corollari.
Particolarmente vivace e complesso è stato il dibattito seguito al pronunciamento della Corte costituzionale.
In primo luogo, non condividiamo l’impostazione di quei costituzionalisti che ritengono che la Corte costituzionale abbia deciso un ricorso diretto, senza il filtro di un giudizio vero, concreto, all’interno del quale fare “nascere” la questione di costituzionalità. Si tratta di considerazioni avvalorate da coloro che leggono la sentenza della Corte costituzionale come espressione di una scelta lato sensu politica, volta ad invadere la sfera di competenza che resta, invece, di spettanza del legislatore nazionale.
La questione di costituzionalità sollevata aveva un giudizio ed un giudice che l’ha giudicata rilevante ai fini dell’instaurazione del giudizio dinanzi al Giudice costituzionale, che ha poi scelto di pronunciarsi nel rispetto delle regole che presiedono allo svolgimento del processo costituzionale e dando corretta applicazione ai principi costituzionali.
Le affermazioni di principio contenute nella sentenza della Corte costituzionale s’inseriscono, quindi, a pieno titolo nel dibattito politico intorno alla scelta del nuovo sistema elettorale nazionale.
Le proposte di riforma non potranno allora non incardinarsi nei principi enucleati dalla Corte costituzionale nella sua sentenza. Più in particolare, da questa sentenza pare discendere in modo chiaro che i tre sistemi elettorali proposti da Matteo Renzi non siano tutti possibili, in quanto non esenti dal rischio di porsi in contrasto con i principi costituzionali, così come da ultimo interpretati dal Giudice costituzionale.
Da questo punto di vista, infatti, il c.d. mattarellum corretto e il sistema spagnolo corretto si prestano entrambi a diventare molto distorsivi e, dunque, seguendo l’impostazione del Giudice costituzionale, non in linea con il principio, chiarissimo, che emerge dalla sentenza, ossia quello della incostituzionalità di sistemi troppo distorsivi, che alterano il rapporto fra il voto espresso dall’elettore e il suo effetto sul piano del riparto dei seggi all’interno dell’organo rappresentativo.
Adesso la palla torna di nuovo alla politica, che, ci auguriamo, sappia muoversi lungo i binari costituzionali, correttamente interpretati.
Marilisa D’Amico e Costanza Nardocci