Il mese scorso il governo Renzi ha presentato alla Camera le linee guida sulla riforma della Giustizia. Tra i provvedimenti, formalizzati in dodici punti, misure per velocizzare i procedimenti e riformare il Csm, falso in bilancio e auto-riciclaggio contro la criminalità economica, accelerazione del processo penale, riforma della prescrizione e tutela della privacy. Ma è sul processo civile che si è concentrata l’attenzione del governo, dove sono previste la riduzione della durata delle cause e una semplificazione dell’iter processuale. Abbiamo chiesto un parere sulla riforma a Giovanna Di Rosa, componente togato del Consiglio Superiore della Magistratura.
Tra le tante indicazioni governative sulla riforma della giustizia, spicca tra i famosi dodici punti l’attenzione al processo civile e, in particolare, la riduzione dell’arretrato e la durata delle cause. Per attuarli occorrerà ridurre le prerogative difensive, causa del numero e della durata delle cause civili pendenti, evitando ovviamente di raggiungere un livello di compressione dei diritti insopprimibile.
Mi spiego. L’arretrato civile, della cui onerosità e dei cui riflessi negativi, anche sull’economia nazionale è inutile discutere, si potrà smaltire solo destinando realmente risorse a questo scopo e introducendo meccanismi effettivi di selezione nell’accesso alla giurisdizione. Non tutte le controversie, cioè, potranno finire dal giudice, ma solo quelle ritenute più rilevanti. Certo, così facendo si pongono a rischio di sacrificio i diritti di coloro che ritengono che la pur minuta questione che li affligge sia determinante, ma così si dovrà fare. Occorrerà quindi trovare il modo per definire velocemente le cause vecchie senza sacrificare totalmente i diritti sottesi: i giudici potrebbero adottare i canali di priorità, come quelli usati nel c.d. “Metodo Torino” (che calcolava e affrontava l’arretrato per anzianità di tali cause in base all’anno di iscrizione) per le questioni più risalenti nel tempo. Dovendo però decidere anche le nuove controversie, sarà necessario assegnare risorse di personale di magistratura e di cancelleria per una svolta concreta nel risultato.
Per calmierare i nuovi ingressi, sarà anche necessaria una contemporanea riforma che introduca interventi quali le proposte di filtro come la negoziazione assistita, l’attribuzione all’ufficiale di stato civile dei procedimenti di separazione e di divorzio consensuale, la maggiore rigidità del sistema delle impugnazioni, gli interventi più incisivi sulla soccombenza anche alle spese processuali in casi di controversie ritenute strumentali o dilatorie, la semplificazione della redazione degli atti, la semplificazione dei riti processuali, secondo le positive indicazioni del governo. Occorrerà in ogni caso accettare la conseguente riduzione degli strumenti di garanzia delle parti nel contraddittorio processuale e una generale rinuncia alle abitudini culturali e al modo tradizionale di lavorare, come del resto imposto dalla recente introduzione del processo civile telematico.
Sintesi ed efficienza della giurisdizione senza rinunciare alla qualità dovranno però essere i principi-guida, nella consapevolezza che i tempi dei processi sono legati al carico dei ruoli dei magistrati e alle garanzie processuali e che si dovrà poi mantenere una certa fermezza di ragionamento per evitare quanto accaduto nel 1995, quando fu introdotta un’importante riforma del processo civile per contrarne i tempi, fissando cadenze processuali più precise che nel passato. Le esigenze di tradizione e di complessità della gestione dei carichi di lavoro per magistrati e avvocati determinarono però modifiche e aggiustamenti che, di fatto, hanno nel tempo riportato il processo civile alla nota inefficienza odierna. Si consideri che è andata nella medesima direzione di rendere più difficoltoso l’accesso alla giustizia la recente decisione di aumentare il contributo unificato, cioè il costo per accedere alla giustizia disposto in questi giorni, contestata perché penalizza i soggetti meno abbienti in quanto si tratta di contributo fisso, non proporzionale al reddito dell’individuo ma al valore della controversia.
Certo, la scelta è impopolare, ma ha reso più costoso il ricorso al giudice distogliendo i tanti, troppi avvocati presenti in Italia dal consigliare e patrocinare questioni giudiziarie strumentali, talora sollevate per il puntiglio delle parti o per dilazionare pagamenti ai fornitori. Qualche riflessione infine sulla riforma del CSM. Ho letto dei tentativi di modifica della sua composizione come modo per scongiurare l’alto tasso di politicizzazione che ne caratterizza l’operato e di riforma della sezione disciplinare. Senza dubbio, si tratta di modifiche che richiedono interventi sulla carta costituzionale e la consapevolezza delle ragioni che indussero i costituenti alle scelte di fondo, su cui il CSM si articola.
Attendendo più precise indicazioni di riforma, in senso generale segnalo la necessità di riposizionare al centro dell’attenzione l’interesse degli uffici giudiziari nel rispetto delle regole per evitare influenze nefaste legate all’appartenenza. La riforma della legge elettorale potrebbe allora essere uno strumento utile a questo fine, purché non si affidi a strumenti ciechi e incapaci di produrre una selezione anche attitudinale degli aspiranti, come il sorteggio. Non tutti i giudici sono infatti adeguati a svolgere funzioni amministrative, come quelle che vi si svolgono. E’ molto diverso essere giudici ed essere amministratori, anche se rimane in sottofondo il comune denominatore della trasparenza, del senso della legalità, del nucleo di valori propri di un magistrato. Nessuna riforma sarà comunque utile se non cambierà il modo di essere componente del CSM.Togato o laico che sia, ogni componente dovrà assumere un approccio istituzionale e non di appartenenza, perché in ogni affare amministrato sia resa la scelta giusta.
In questo senso, penso allora che il ventilato aumento della componente laica di nomina parlamentare serva solo ad ampliare i tassi di politicizzazione dell’organismo, senza assicurare l’effetto che si vorrebbe. Mi fermo allora su questa vera scommessa riformista, che è poi quella di cui il Paese ha bisogno: persone selezionate secondo competenza e non secondo appartenenza. Dappertutto e senza distinzioni.
Ce la faremo o siamo ancora ai tempi di Caligola, che nominò senatore il suo cavallo?