La Commissione europea ha richiamato l’Italia per le misure adottate sinora per contrastare l’illegalità nella sanità. Il 31 gennaio, infatti, è scaduto il termine, previsto dalla legge n. 190 del 2012, per la presentazione di piani anti-corruzione, utili a favorire la trasparenza in tutti gli enti pubblici, aziende sanitarie comprese.
Gli ultimi dati, diffusi dalle associazioni Libera e Gruppo Abele, rivelano che meno di un’azienda sanitaria su due è in regola nel nostro Paese e che soltanto 102 su 242 soddisfano tutti i requisiti imposti dalla legge.
La corruzione nelle aziende sanitarie italiane (Fonte: Libera e Gruppo Abele per Riparte il futuro)
L’infografica mostra il livello di trasparenza e resistenza alla corruzione raggiunto dalle aziende sanitarie nel 2013. Secondo i dati di Gruppo Abela e Libera per il progetto Riparte il Futuro, meno di un’azienda su due soddisfa tutti i requisiti e solo 102 aziende sanitarie su 242 rispettano gli adempimenti previsti dalla legge anti-corruzione. Di queste, solo 13 sono nel Sud, mentre le altre si trovano al Centro e in maggioranza al Nord. Il trend sembra confermare il gap tra Nord e Sud del Paese: infatti, se la media nazionale in fatto di trasparenza raggiunge l’82%, cala al 67% al Sud e sale al 92% al Nord.
Basilicata e Friuli Venezia Giulia sono le regioni più virtuose, con quasi tutte le aziende sanitarie che hanno ottemperato agli obblighi previsti dalla legge.
Più watchdog, più trasparenza?
Quali sono, allora, gli interventi da compiere? E’ possibile immaginare un maggior coinvolgimento della comunità per favorire la trasparenza? Raccogliamo la riflessione di Mario Cerati, medico chirurgo e voce di Vox.
La filiera della sanità è un’organizzazione particolarmente complessa da valutare sul piano della trasparenza. Intanto, vi è un problema oggettivo legato a tutte quelle difficoltà che devono coniugare il ruolo propriamente “tecnico”, con la difficile componente amministrativa delle aziende sanitarie. Ad esempio, per il medico, fra bisogno di salute del paziente e le risorse disponibili e, per l’amministratore, fra le esigenze dei compartimenti sanitari e l’obbligo di raggiungere la maggior parte della comunità con le proprie risorse. Poi vi è il problema legato ai numerosi “device”, di cui oggi può servirsi la diagnosi e il trattamento medico. E qui entrano in gioco altri attori, che “complicano” questo quadro, come le case farmaceutiche o le aziende costruttrici di materiali biomedicali, che devono gestire conti prettamente aziendali.
«In questo quadro così complesso è oggettivamente difficile districarsi sul tema della trasparenza, che contiene in sé non solo il cosa faccio, ma anche il come lo faccio».
Leggendo l’articolo del Corriere sul monitoraggio svolto dalle associazioni Libera e Gruppo Abele (leggi qui), ho trovato interessante soprattutto il ruolo di “watch-dog” attribuito alla comunità, perché se da una parte questa ha un ruolo sempre più essenziale nell’implementare la trasparenza nel settore, dall’altra può avere anche il ruolo di accompagnamento. Infatti, come spiega De Micheli, coordinatore del progetto e responsabile del Servizio di epidemiologia all’Asl di Alessandria: “Con questo progetto, vogliamo anche accompagnare le aziende in questo processo di cambiamento analizzando le procedure all’interno delle strutture sanitarie, come i prezzi, i tempi di attesa”.
In questo modo, non solo si aiuta la trasparenza, ma si può anche entrare nella rete aiutando sinergismi non scontati, ma tanto importanti nel razionalizzare le risorse umane ed economiche, in termini di maggiore efficienza e minore spreco. In più per la comunità diventa più facile, in questo contesto, orientare scelte politiche ed economiche di grande impatto sociale, che possano far fronte al problema della corruzione.
Ben venga, allora, un watchdog che sia d’aiuto anche a chi in questo paese, e sono tanti per fortuna, lavora in buonafede… forse allora meglio parlare di dogsitting?…o, se vogliamo tenere l’anglosassone, forse meglio lasciare immagini di animali “minacciosi” per un più kennediano: let’s do it toghether.