Milano, Napoli, Latina, Grosseto. Sono tanti i comuni in Italia che, tra le polemiche, hanno concesso la trascrizione dei matrimoni omosessuali contratti all’estero. Un provvedimento amministrativo, che permette a molte coppie di vedersi legittimata la loro unione. Ma non basta. Perché il riconoscimento dei matrimoni gay resta l’unica soluzione per una piena parità dei diritti. Per Vox, il commento di Massimo Clara, avvocato e voce di Vox, e di Marilisa D’Amico, professore di diritto costituzionale e co-fondatrice di Vox.
Mediaticamente sembra tutto facile… il Tribunale di Grosseto dice che un matrimonio contratto all’estero fra due cittadini dello stesso sesso può essere trascritto. Molti ci sperano, sono tante le coppie che, per celebrare quel matrimonio che in Italia non esiste, hanno dovuto andare a New York o in Portogallo.
Scatta l’appello ai sindaci, nella speranza che un provvedimento amministrativo riempia almeno un poco il vuoto legislativo che la Corte Costituzionale denunciò già nel 2010: ma la realtà è ben diversa. Anzitutto, come ufficiale dello stato civile, il sindaco non è l’autorità amministrativa locale che decide in base alla discrezionalità politica di cui dispone; è un organo dello Stato e, come tale, deve attenersi alle indicazioni che il Ministero dell’Interno gli dà. Le indicazioni sono di non trascrivere a ciascuno le sue responsabilità. E non pare gran cosa chiedere ad un rappresentante delle istituzioni di violare la legge (o forse pensiamo che il principio di legalità valga solo per gli altri?).
Noi pensiamo che negare il matrimonio egualitario sia una ingiusta discriminazione, anche del punto di vista della Costituzione. Lo abbiamo detto e lo ripetiamo. Ma la Consulta, con la sentenza 138 del 2010 – ed ancora pochi giorni fa con la sentenza 170/2010 – ha invece detto che il paradigma legale del matrimonio italiano oggi vigente è l’ eterosessualità. Non si tratta di buon costume, la questione è da anni superata, si tratta – e questa interpretazione non può essere violata da una istituzione dello Stato – del fatto che un matrimonio gay estero è valido per il paese in cui fu contratto, ma non ha effetti nel nostro orientamento giuridico.
Certamente l’ordinanza grossetana merita rispetto, come qualsiasi pronuncia di un giudice, a prescindere dalle nostre opinioni; ma è ben noto che la Cassazione, con la sentenza 4184 del 2012, ha deciso esattamente l’opposto e, con ogni probabilità, i giudici si atterranno a questo criterio, appunto da pochi giorni ribadito dalla Corte Costituzionale. Del resto, un matrimonio gay estero ipoteticamente trascritto non darebbe ai partner della coppia i diritti che normalmente ne derivano, proprio per la sua genetica inidoneità a produrre effetti giuridici nell’ordinamento italiano. Ciò che un Comune può già fare è iscrivere la coppia sposata all’estero nel proprio Registro delle Unioni Civili, offrendo quella parità di trattamento che è nella sue possibilità (questi registri, speriamo si diffondano sempre di più).
Ma con l’ attuale legge matrimoniale, pur se dispiace dirlo, non si può andare oltre. La battaglia è tutta politica, per il matrimonio uguale per tutti, perché la discriminazione non ha motivo di esistere. Prendiamoci tranquillamente oggi la legge nazionale sulle unioni civili, comunque è un passo avanti, anche se l’obbiettivo finale è quello della parità fra tutti i cittadini.
A quell’obbiettivo, scorciatoie ed illusioni fanno soltanto danno.
Foto: www.gay.tv