Disinformazione, hatespeech e cyberbullismo sono fenomeni collegati fra loro: ecco perché Vox aderisce all’appello lanciato dalla Presidente della Camera, Laura Boldrini. Ma cosa sono le fake news? Come si diffondono? E soprattutto, come fermarle? Si tratta di una battaglia oggi necessaria, perché far circolare bufale significa alterare la formazione della pubblica opinione e ledere il fondamentale diritto a una corretta informazione.
di Ilaria Liberatore
“Essere informati è un diritto, essere disinformati è un pericolo”. Con questo slogan la Presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, ha lanciato l’appello #BastaBufale, contro la diffusione delle fake news, le notizie false che sul web spopolano, a volte anche con conseguenze drammatiche. Vox – Osservatorio Italiano sui Diritti ha aderito all’appello, perché la disinformazione può essere l’anticamera dell’hate speech, del cyberbullismo, e di tutte le altre forme di abuso e violenza di cui il web troppo spesso si fa veicolo. È un tema che “riguarda tutti i cittadini e tocca un principio cardine delle nostre società democratiche, il diritto a una corretta informazione – spiega Boldrini -. Le bufale non sono goliardate, provocano danni reali alle persone, basti pensare a quelle sui vaccini pediatrici, alle terapie mediche improvvisate o alle truffe online”. “Il diritto a un’informazione corretta è uno dei diritti fondamentali di ciascun individuo, ha a che fare con la possibilità di formarsi opinioni coerenti e fondate e, quindi, di poter bene interpretare i fatti – commenta Silvia Brena, giornalista e co-fondatrice di Vox -. Diffondere bufale, confondere opinioni con fatti e notizie, significa alterare la formazione di una pubblica opinione. Per questo è una delle pratiche preferite dai regimi che alimentano ansie e paure delle persone. E le paure alimentano odio e intolleranza”.
Aderire all’appello #BastaBufale
Tutti possono aderire all’appello, accedendo al sito www.bastabufale.it e firmando il documento. Lo hanno già fatto personaggi come Francesco Totti, Fiorello, Ferzan Ozpetek, Gianni Morandi, Carlo Verdone, Claudio Amendola, l’antropologo Marc Augé e il direttore di Limes Lucio Caracciolo. In un mese e mezzo la piattaforma ha già raccolto circa 18mila firme, che al termine della sottoscrizione saranno consegnate ai rappresentanti del mondo della scuola e dell’università, dell’informazione, delle aziende e dei social network, per “coinvolgere tutti questi settori a collaborare in maniera progettuale e concreta per arginare il fenomeno”, aggiunge Boldrini.
Bufale e hate speech
La stessa Presidente della Camera è stata protagonista di varie notizie false circolate su internet: da quella secondo la quale avrebbe detto che “festeggiare il Natale nelle scuole è sbagliato” a quella che la voleva paladina del burqa per le donne italiane. La fantasia di certo non manca a chi inventa queste “notizie”, ma le conseguenze delle bufale a volte sono purtroppo più che reali, a cominciare dagli attacchi sessisti che Boldrini stessa ha ricevuto e che qualche mese fa ha deciso di rendere noti , “perché troppe donne rinunciano ai social pur di non sottostare a tanta violenza”, ha spiegato, e “perché chi si esprime in modo così squallido e sconcio deve essere noto e deve assumersene la responsabilità”.
Come e perché si diffondono le bufale?
Secondo la giornalista Caitlin Dewey, che fino al 2015 ha tenuto una rubrica sul Washington Post dedicata a smontare le bufale (What was fake this week, “Cosa c’era di falso questa settimana”), queste non sono altro che “un misto di errori, analfabetismo funzionale e sfiducia nelle istituzioni: non proprio problemi facilmente risolvibili”. A questo terreno fertile si aggiunge “la grande quantità di informazioni disponibili su internet”, “il ritmo al quale escono nuove informazioni” e, aggiungiamo noi, la convinzione, da parte di alcuni, che tutti i media siano manipolati dai “poteri forti” e che ci si debba informare su siti “alternativi”. Le notizie false vengono poi condivise sui gruppi dei social network, echo chambers che fanno da cassa di risonanza.
Debunker, i “supereroi” che smontano le fake news
I primi firmatari di #BastaBufale sono tre tra i più noti debunker italiani: David Puente (davidpuente.it, e gestore di Bufale.net), Paolo Attivissimo (alias @disinformatico) e Michelangelo Coltelli (cofondatore di “Bufale un tanto al chilo”, Butac.it). Ma cos’è un debunker? È una persona che, spesso a titolo volontario, smaschera le notizie false attraverso un’attenta verifica delle fonti e della modalità di diffusione della bufala. “Mi definisco un attivista del web – spiega a Vox David Puente -. Considero quello che faccio necessario, perché una persona che arriva a credere, ad esempio, che a Lampedusa ci siano le sirene, può essere un cittadino facilmente manipolabile. E questo è un problema per la democrazia”. A chi si difende dicendo che le bufale sono un nuovo modo di far satira, Puente risponde che “tutto ciò non ha niente a che vedere con la satira, si tratta di qualcosa di pericoloso, basti pensare a quelle che riguardano i vaccini o le fantomatiche cure contro il cancro”. Esaminando per mesi il codice pubblico delle pagine da cui partivano alcune bufale, Puente è riuscito a scoprire che questi siti usano una stessa fonte o addirittura condividono lo stesso account da publisher, per le pubblicità a pagamento. Da qui il debunker è risalito a una società con sede a Sofia (Bulgaria), la Edinet. Sul suo sito Edinet.bg, la società si definisce un “Gruppo editoriale” con uffici “in Francia, Germania, Slovenia e soprattutto Italia. I componenti e collaboratori di Edinet sono al 90% Italiani ed è proprio in Italia che sono puntate tutte le nostre risorse”. Cosa vuol dire? Che le bufale sono, in primo luogo “una macchina per far soldi, e parliamo di svariate migliaia di euro – sottolinea Puente -. Sono falsità che creano un clima negativo, denigratorio, con lo scopo principale di guadagnarci sopra”.
Debunking, serve o non serve?
Tra i firmatari dell’appello #BastaBufale c’è anche Walter Quattrociocchi, capo del CSSLab e dell’IMT di Lucca, esperto di scienze sociali e computazionali. La sua ricerca Debunking in a world of tribes (“Fare debunking in un mondo di tribù”) è stata citata due anni fa nella rubrica del Washington Post What was fake this week. Con quello studio Quattrociocchi ha dimostrato che il debunking non servirebbe a nulla, perché gli individui tenderebbero ad acquisire informazioni che rispecchiano il loro sistema di credenze, le convinzioni che hanno già. “E’ una tendenza che è sempre esistita, che si chiama ‘pregiudizio di conferma’, a cui nessuno sfugge – spiega Quattrociocchi a Vox –. ma che con i social network diventa molto più evidente”. Il debunking funzionerebbe “se ci fosse un’apertura da parte di chi legge – prosegue -, ma allo stato attuale rimane fruito solo da chi è disposto a un tipo di narrazione differente”. Ovvero, coloro che già sono abituati ad informarsi in modo critico, verificare e confrontare le fonti e, se necessario, cambiare idea. “Ha ragione Quattrociocchi a dire che il debunking non risolve il problema, ma almeno lo argina nell’immediato”, risponde Puente.
Lavorare insieme, per sradicare le bufale sul nascere
“Il lato positivo dell’iniziativa #BastaBufale è che ha finalmente portato legittimità politica a uno dei problemi più grandi della società contemporanea”, concordano Puente e Quattrociocchi. Da questa presa di consapevolezza si può partire, per arginare il fenomeno delle fake news, lavorando sulla prevenzione e sull’educazione degli utenti. A tal proposito Walter Quattrociocchi sta per lanciare da Ginevra il progetto “PanDoors” che, attraverso una rete di esperti di varie discipline, cercherà di capire “come vengono percepiti alcuni argomenti ‘caldi’ (come immigrazione, vaccini), come nascono malcontento e sfiducia e quali sono i meccanismi che portano alla diffusione delle bufale – spiega lo studioso -. Insieme a istituzioni e giornalisti cercheremo poi di disegnare una campagna mediatica che possa essere utile in tal senso”. Ma è anche dalla scuola che dobbiamo partire: “Dobbiamo puntare ancora molto sull’educazione civica, su quella digitale, e abituare i ragazzi a una lettura critica”, consiglia Puente. Necessaria è anche la collaborazione con i social network: “negli Stati Uniti Facebook ha adottato un ottimo sistema contro le bufale, in collaborazione con Snopes e Politikfact, due siti americani che si occupano di fact checking – segnala il debunker -: è un bollino che identifica le notizie che sono state contestate e invita l’utente a prestare attenzione”.